venerdì 27 dicembre 2019

Romano Bruscaglia ultimo barbiere di Sant’Angelo in Vado lascia l’attività


Romano Bruscaglia ultimo barbiere di Sant’Angelo in Vado lascia l’attività 

Ha iniziato il suo lavoro nella barbieria del fratello Luigi detto “Paperino” nel 1954 quando il negozio era sotto il loggiato e poi nel 1959 in via XX settembre. Allora quando Sant’Angelo in Vado aveva 3000 persone nel centro e 2000 nella campagna, la barbieria lavorava anche la domenica fino alle 14.00.
Nella barbieria si è sempre letto “Il Resto del Carlino” fin da quando si chiamava “Il giornale dell’Emilia” e tutt’oggi è ancora presente sul tavolinetto assieme a “Il Nuovo Amico”, “Frate Indovino” e “l’Antenna” il foglio settimanale della parrocchia, segno di uno spiccato senso alla partecipazione sociale.
Romano è stato consigliere e capogruppo di maggioranza nel comune vadese alla fine degli anni ‘80, dove, quale presidente zonale della CNA, ha seguito in particolare la questione artigianale.
Forte nella memoria, proveniente dal vecchio avviamento, eruditosi nella lettura dei giornali presenti in barbieria, ci tiene a dire che oggi il suo lavoro ha il 25% di anziani e seppure essendo l’ultimo, il suo mestiere ha un valore sociale. Suggerisce a qualche giovane, di frequentare i corsi di una nota ditta di prodotti cosmetici maschili, al fine di incentivare la riscoperta di questa sua attività. Con 65 anni di professione è stato per continuità il più longevo.
La lettura, il colloquio con i diversi clienti, che nei rispettivi gradi di formazione, riportavano i loro aspetti professionali, lo hanno arricchito permettendogli di fare nessi, considerazioni, collegamenti alla vita sociale del paese.
Con lui si chiacchiera in maniera avvincente, di politica generale e locale, di sport, lui grande juventino. Sono molti che lo vengono giornalmente a trovare, pur non avendo la necessità del suo servizio, per fare quattro chiacchiere, per condividere o dibattere opinioni, per godersi un momento di rilassamento.
Diversi i suoi clienti, fra cui anche clerici e professionisti; ricorda Oddo Aliventi vadese di nascita, architetto del periodo fascista, suo il profilo del duce del Furlo, ritornando in ferie a Sant’Angelo in Vado, quando si recava in barbieria, portava sempre con se una valigetta con tutti gli strumenti placcati in oro e Romano doveva usare solo quelli.
Il 27 dicembre l’amministrazione comunale vuole ricordarlo, in questa sua longeva attività, con una targa.


venerdì 13 dicembre 2019

Pfas a Fermignano. Quale trasparenza?


Pfas a Fermignano. Quale trasparenza?

E’ da diverse settimane che a Fermignano si discute in consiglio comunale dell’inquinamento da Pfas delle acque di alcuni pozzi in zona Zaccagna.
Cosa sono i Pfas? “Sono sostanze chimiche di sintesi utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all’acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti. E ancora per rivestire padelle antiaderenti e nella produzione di abbigliamento tecnico.” (1)
Uno studio dell’Università di Padova mette in evidenza come queste molecole possano alterare la fertilità femminile inducendo ad aborti; inoltre alterano il sistema riproduttivo maschile. (2)
Non esistono limiti di soglia di queste sostanze eventualmente presenti nell’acqua potabili (3), perchè non rientranti nei 62 parametri di analisi previsti dalla normativa europea. Attualmente il Consiglio Europeo sta discutendo la riforma delle analisi dell’acqua di rubinetto, intendendo inserire anche ulteriori controlli, fra cui i Pfas.
Una indagine dell’ISPRA orientata a tutte le regioni italiane, chiede alle rispettive ARPA di analizzare la presenza di queste sostanze. Tale relazione è stata pubblicata a dicembre 2018 e contiene le indagini effettuate nell’anno precedente. (3)
Così a seguito dei rilievi dell’Arpam, il sindaco di Fermignano emette l’ordinanza n. 50 del 15 giugno 2018, vietando l’uso dell’acqua del pozzo in loc. Zaccagna, anche se tali sostanze chimiche sono state rinvenute in maniera differente in altri 5 pozzi.
La Trasparenza.
Questa ordinanza è stata pubblicata all’albo pretorio come previsto per 15 gg per poi essere messa nell’oblio. Infatti al momento della ricerca non l’ho trovata ne’ nello storico, ne’ nella apposita sezione dell’Amministrazione Trasparente. La norma prevede che tali documentazioni siano conservate per almeno 5 anni. Alla mia richiesta di poter ricevere i dati e relazioni Arpam e della provincia, mi sono visto consegnare la sola ordinanza; per avere la documentazione richiesta non sono bastati incontri e telefonate; essa è arrivata solo dopo mia formale diffida. Mi è stata inviata tutta la documentazione, eccetto “il piano di caratterizzazione della ditta” da me espressamente richiesto.
Va detto che tutta la documentazione ha una chiara evidenza ambientale, per cui dovrebbe essere pubblicata non solo sul sito del comune, ma anche in quello dell’ARPAM; infatti la normativa del 2005 sul diritto alle informazioni ambientali (4), prevede l’accesso e la pubblicazione a “qualsiasi informazione disponibile” relative ad “acqua, suolo, territorio...energia, radiazioni, rifiuti...stato della salute e della sicurezza umana”. Non solo, tale norma è stata recepita nella attuale trasparenza del 2013, obbligando la pubblicazione in una apposita sezione dell’Amministrazione Trasparente (5).
Infine appare astruso il comportamento dell’Arpam nella richiesta di documentazioni da loro detenute. Infatti, tale agenzia, al momento della richiesta invia una comunicazione anche ai controinteressati, ma in questi casi sono comuni, provincia, di fatto amministrazioni pubbliche.
Se si va a leggere la definizione di controinteressati nell’accesso documentale (6), troviamo: “tutti i soggetti individuati o facilmente individuabili, in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.”
Anche la norma sulla trasparenza in merito ai controinteressati, sostiene che il criterio da seguire è quello del pregiudizio concreto che l’accesso potrebbe comportare al soggetto in questione, limitatamente a quegli interessi privati quali ad es. i dati personali, segretezza corrispondenza, interessi economici e commerciali (7) e tutelati da specifiche discipline.
Dunque chiediamoci, quale diritto alla riservatezza può avere una amministrazione pubblica che necessariamente dovrebbe essere già trasparente?
In conclusione, rimane il fatto che nonostante questa pluridichiarata trasparenza, il cittadino deve continuamente dimostrare più volte le sue ragioni, anche quando è a rischio la propria salute! E’ il caso di valutare, se ancora le amministrazioni si sentono il potere di considerare cosa trasmettere o meno ai propri cittadini, o forse se sia il caso davvero, di mettersi seriamente a studiare questa disciplina per essere al servizio dei cittadini, attivando le giornate dedicate alla trasparenza e tutti quei meccanismi che sono a loro dovuti. Per noi persone comuni ricordiamo che essere informati, ci permette di fare scelte migliori!

le Marche a pag 18, 20, 24, 39, 44, 54, 56, 59, 65, 101.


sabato 16 novembre 2019

Registro tumori nelle Marche

Registro dei Tumori nelle Marche

Un interessante convegno si è tenuto l’8 novembre in Ancona presso la regione Marche, sala Raffaello. Si è trattato della presentazione della pubblicazione del Registro dei tumori per il triennio 2010-2012. Dal sito dell’Agenzia Regionale Sanitaria ARS, che ha promosso questo incontro si legge in merito: “La pubblicazione di questo Volume “Atlante Tumori Regione Marche, primi dati di incidenza 2010-2012” completa il primo importante traguardo dell’iter di attivazione del Registro Tumori, nato con Legge n.6 del 2012 e regolamentato con atto deliberativo nel 2015. Questo percorso virtuoso ha portato la Regione Marche ad avere un territorio completamente coperto dal Registro Tumori, un’attività di sviluppo e implementazione molto importante, raggiunta grazie al coinvolgimento attivo delle strutture del Servizio Sanitario Regionale.”
Il Presidente della Giunta Regionale Luca Ceriscioli ha affermato: “Abbiamo lavorato per dare soluzioni”.
Interessanti le presentazioni di facile lettura anche per me semplice cittadino, immesso in una maggioranza di professionisti del settore sanitario. Due le Università coinvolte quella di Camerino che da lunga data ha sperimentato il Registro dei tumori della provincia di Macerata ed il Politecnico nelle Marche a cui spetta la rielaborazione dei dati delle province di Ancona e Pesaro Urbino.

Ma davvero dobbiamo felicitarci di tutto ciò ?

C’è da dire che le Marche è tra le ultime regioni a pubblicare queste informazioni e lo facciamo con due trienni di ritardo; è stato detto che il 2015 sarà pubblicato il prossimo anno. A dare il pungolo alla diffusione di queste informazioni, è stata la legge sul Registro dei tumori (1) varata recentemente, che ha imposto la pubblicazione dei dati entro il 30 aprile 2020. Un testo approvato a maggioranza da tutti i 457 presenti nel parlamento, per il quale l’allora ministro Giulia Grillo ha affermato “Grazie alla Rete nazionale dei registri dei tumori e al referto epidemiologico avremo dati certi, pubblici e sempre aggiornati, colmando un vuoto che caratterizzava il nostro Servizio sanitario nazionale, e migliorando la qualità dei dati oncologici raccolti e consentendo di realizzare una fotografia, aggiornata annualmente, dello stato di salute dei territori".
Inoltre mancano i dati aggregati per comune; infatti l’Artium (2) che raccoglierà tutte queste informazioni regionali, sostiene a proposito dei registri di popolazione:
“La maggior parte dei registri italiani sono registri di popolazione ovvero raccolgono i dati relativi alle malattie tumorali di tutti i residenti di un determinato territorio (può essere una singola città o un'intera regione, una provincia o il territorio di una ASL). L'importanza di legare la raccolta di dati alla residenza sta nel fatto che in questo modo la casistica raccolta non sarà selezionata, ma rifletterà la reale condizione di un territorio dove sono presenti tutte le fasce di età, tutti gli strati sociali, ecc.” Ecco quindi la necessità di correlare le malattie all’ambiente vissuto, ambiente fisico e sociale, dove il legame ambiente/patologia è ormai indiscusso.
Non è un caso, ad esempio, che il sito di Falconara sia nei 58 siti italiani, tra i gravemente inquinati ed ad elevato rischio sanitario (3)
Per tutto questo i dati del registro dei tumori, non sono di esclusiva competenza degli specialisti, ma anche di tutti i cittadini, che quando fanno accesso, sono spesso visti come rompiscatole e poco accreditati.
Per tutti va richiamata perciò la normativa sull’accesso ai dati ambientali che obbliga la pubblicazione e l’accesso ai richiedenti di “qualsiasi informazione disponibile...” art. 2, anche “dello stato della salute e della sicurezza umana”, comma 6 (4). Ma sul settore trasparenza e accesso ai dati da parte dei cittadini, le istituzioni sanitarie regionali devono ancora attivarsi debitamente.
La pubblicazione dell’Atlante è nel sito dell’ARS regionale.(5)


1) L. n 29 del 22 marzo 2019, “Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione.”
2) Associazione Italiana Registro Tumori https://www.registri-tumori.it
4) D. L.vo n. 195 del 19.08.2005

lunedì 21 ottobre 2019

FOIA Italia : la trasparenza a casa nostra.

FOIA Italia : la trasparenza a casa nostra.

E' il decreto legislativo 33 del 2013 (1) che stando alla legge base, dovrebbe aprire i cassetti delle pubbliche amministrazioni per fornire a qualsiasi cittadino, senza che debba dimostrarne l'interesse, gli atti che chiede e che dovrebbero essere pubblicati. E' di questo periodo, l'intervento dell'ANAC (2), l'autorità anticorruzione che si occupa appunto dell'applicazione della norma, uno specifico intervento, che conferma la pubblicazione degli emolumenti percepiti dai dirigenti effettivi e dai facenti funzione. Questi avevano fatto ricorso all'imposizione della pubblicazione reddituale e la Corte Costituzionale aveva bocciato la delibera Anac nella parte che riguardava la pubblicazione patrimoniale. Anche Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha emesso la circolare n.1/2019 (3) che regola in dettaglio l'accesso civico, cioè la possibilità per il cittadino di fare richiesta di “atti , informazioni, documenti”.

Ma vediamo un attimo come funzione questa trasparenza.
FOIA è l'acronimo americano di Freedom Of Information Act (Libertà di informazione e diritto di accesso agli atti). Gli obbiettivi sono ambiziosi, se si pensa impostati sulla burocrazia italiana, un pachiderma difficile da smuovere e rinnovare: il cittadino che diventa il controllore dell'amministrazione, la trasparenza su tutti i documenti, atti, effettuati dagli enti pubblici e dai gestori privati, di servizi pubblici, obblighi di pubblicazione. A dir la verità due normative di accesso e di pubblicazione erano già presenti nel contesto normativo italiano: la L.241/1990 (4), sull'accesso documentale riservato per chi ha un diretto interesse nel procedimento, il Decreto Legislativo 195/2005 (5), sull'accesso e la pubblicazione dei dati ambientali, fra l'altro inserito esplicitamente all'art. 40 del decreto trasparenza.
Essendo coordinatore delle guardie volontarie del WWF Marche, tra i compiti del nostro regolamento c'è anche l'assistenza ai cittadini che si muovono nei meandri burocratici ambientali del territorio. Diverse quindi le richieste di accesso e trasparenza a servizio appunto delle persone che ci contattano: dalla costruzione di un impianto eolico, allo scarico di un allevamento, dai dati dell'acqua potabile, alla realizzazione di un impianto sciistico. Ed in tema di accesso agli atti e trasparenza in 40 anni di impegno ambientale, ho realizzato tanti interventi, da poter esprimere pareri e indicazioni, in riferimento non solo ad enti locali, ma anche statali.


Ne vediamo alcuni. L'accesso ambientale ad esempio chiede la pubblicazione in qualunque forma dello stato degli elementi aria, acqua, suolo, siti naturali, ogm, energia, rumore, radiazioni. Da tempo col Forum Beni Comuni PU, ci occupiamo della pubblicazione delle analisi dell'acqua potabile, che ci venivano date, ma non pubblicate, fra l'altro uno dei gestori idrici della provincia di PU, proprio non voleva. Eppure la Commissione UE nel rapporto per le modifiche di alcuni parametri di analisi delle acque del rubinetto presentato il 23 ottobre scorso (6) sottolineava che, la mancanza di fiducia nell'acqua potabile era dovuta anche, alla poca trasparenza delle analisi.
Abbiamo dovuto così diffidare direttore generale ASUR e ARPAM per ottenere, da quest'anno, la pubblicazione delle analisi dell'acqua di tutti i comuni delle Marche, sul sito Vesa Veterinaria e Alimenti (7).
Un impianto eolico nella regione Umbria a diretto confine con le Marche, proprio sulla dorsale appenninica, in zona ad alto interesse ambientale, proposto senza la dovuta pubblicazione, nonostante che il Testo Unico Ambientale del 2006, nella parte riguardante la Valutazione di Impatto Ambientale, preveda all'art. 24 comma 7, la divulgazione di tutta la documentazione attraverso sito della Regione. L'accesso civico alle cartelle è stato addirittura negato più volte e la mancata presenza del difensore civico regionale non ci ha aiutato, ma il tutto è servito per dare il diniego all'autorizzazione.
In tema energetico mi sono rivolto anche al GSE (8) Gestore dei Servizi Elettrici, per conoscere la produzione annuale di alcuni impianti eolici. Abbiamo chiesto l'accesso civico ai dati dell'impianto di cima Mutoli di Fossato di Vico (PG), che purtroppo ha cambiano spesso società di gestione. Ci rispondevano che non era disponibile, che la società non corrispondeva, per almeno 4 volte. La circolare della funzione pubblica prevede che l'amministrazione non precluda la risposta al cittadino, che fra l'altro può anche non essere preciso nella sua richiesta, ma instauri con lui una sorta di dialogo chiarificatore. Scritto questo, allegate coordinate geografiche, a Fossato di Vico c'è solo quell'impianto, ho avuto le risposte che cercavo.
Mi sono rivolto, anche all'INPS aiutato dal gruppo Trasparenza Siti Web Pubblica Amministrazione (9) ideato e proposto da Laura Strano, forte sostenitrice della trasparenza degli enti pubblici. L'art. 13 del decreto prevede la pubblicazione dell'organigramma dell'ente con la pubblicazione dei telefoni, poste elettroniche, istituzionali e dedicate. Ebbene, se si vuole parlare con un funzionario INPS della tua provincia, devi utilizzare il call center istituzionale, il centralino rimanda a questo, impossibile individuare un dirigente. Fatte per iscritto queste rimostranze, non siamo riusciti ad ottenere risposte specifiche.
Ci siamo occupati assieme al Forum beni comuni PU anche del Progetto del nuovo ospedale della nostra provincia realizzato con il project financing, ossia (per utilizzare l’espressione impiegata dal legislatore) la realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione; ebbene la richiesta di accesso ai dati di progettazione ci è stata differita di qualche mese nel 2018, ma ancora dobbiamo avere i progetti richiesti come prevede la norma; su tale aspetto il compito della vigilanza è proprio dell'ANAC, per questo ho scritto e contattato telefonicamente più volte l'autorità ed il Presidente Cantone; nonostante le competenze e l'obbligo di dare risposte come una qualsiasi altra amministrazione, nessuna comunicazione e grande delusione.
Al dipartimento della Funzione pubblica spetta la vigilanza sulle risposte o non, ai cittadini, ma i loro tempi sono così lunghi che vanificano l'intervento. Nel social c'è anche chi commenta “Ne’ all’Anac ne’ a nessuno, sembra interessare che l’accesso civico generalizzato è a tutt’oggi una rarità da collezionisti.”
Non si tratta soltanto del funzionamento dell’amministrazione per un qualunque scopo, ma piuttosto del fatto che l’amministrazione deve avvenire in modo tale che le persone si sentano accettate nelle procedure amministrative, che si sentano apprezzate, che possano fidarsi del sistema amministrativo, che si sentano sicure e trattate giustamente e che siano ascoltate e che vengano accettate le loro legittime critiche. Si farebbe così un bel passo avanti verso il raggiungimento di ciò che significa davvero unire le persone...” (10). Parole giuste in qualsiasi contesto, che ci permettono di non abbandonare questo impegno, che avremo modo di approfondire ancora.



DEAD ZONE “Come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali”

DEAD ZONE “Come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali”

Il libro è organizzato come una sorta di percorso avventuroso, in varie parti del pianeta. Ogni percorso ha però la sua giustificazione scientifica, di indagine ambientale-faunistica, di ricerca del rapporto che esiste tra le specie animali selvatiche, l'ambiente dove vivono, la loro sopravvivenza e gli allevamenti intensivi. Non per niente ogni capitolo riporta il nome di un animale e attraverso la sua ricerca, l'autore trova le giustificazioni, per allargare il campo alle modificazioni ambientali imposte dall'uomo, con l'unico scopo del profitto a tutti i costi.
Nel leggerlo, mi è parso quasi una sorta di percorso romanzato, ma così ricco di note e di riferimenti a documenti da farmi cambiare idea: una ampia analisi che dimostra come il sistema attuale, di garantire carne a basso costo nei nostri supermercati, stia fortemente danneggiando non solo interi ecosistemi della terra, assieme ai cambiamenti climatici e la distruzione di interi habitat, col risultato di essere una delle cause di estinzione di molte specie animali.
Il primo capitolo intitolato “l'elefante” parla appunto di questi animali possenti usati nell'isola di Sumatra nelle coltivazioni della palma da olio. Dalla polpa rossastra, si ricava l'olio di palma, mentre dal nocciolo commestibile, si ottiene olio e farina di palmisto. Sempre più questi prodotti vengono utilizzati in Europa, Cina, Nuova Zelanda, come mangime industriale per animali allevati, con le conseguenze sull'habitat indonesiano, ormai ben chiare a tutti.
Nel capitolo “il bisonte” in Nebraska incontra distese di mais ogm, destinato a “nutrire il mondo”: il 40% agli animali ed il 40% trasformato in etanolo per fornire, mescolato alla benzina, il carburante delle auto. Eppure se tutti gli animali nutriti con cereali fossero riportati nei pascoli ed i cereali fossero destinati agli uomini, si potrebbero alimentare altri 3 miliardi di persone.
Nel capitolo “il gambero” c'è il cuore del titolo del libro “Dead Zone”, zona morta appunto; un viaggio nel New Orleans alla ricerca dell'autore di questo delitto. Una immersione su una zona del Golfo del Messico chiarisce, perché i gamberi incominciano a sparire ed i pescatori sono costretti sempre più ad allontanarsi dalla costa per la cattura dei crostacei. I fertilizzanti usati per le coltivazioni di mais, dilavati dalle sempre più frequenti piogge rilasciate dagli uragani, su terreni che perdono sempre più il loro humus, vanno a finire nel mare creando queste zone di morte prive di qualsiasi forma di vita.
Con “il pinguino” siamo in Sudafrica. La popolazione di questo caratteristico uccello, già messa in crisi dallo sfruttamento del loro guano nel passato, oggi rischia ancor di più, dalla pesca di piccoli pesci oceanici di cui si nutrono. La cattura di queste specie ittiche, ritenute minori o “spazzatura, destinate esclusivamente alla trasformazione in farina per l'alimentazione zootecnica, sta esaurendo questa risorsa. I pinguini sudafricani non sono la sola popolazione colpita dall'industria ittica destinata all'alimentazione: le popolazioni del Perù, delle Galapagos con i più piccoli pinguini al mondo, soffrono lo sfruttamento ittico.
L'ultimo capitolo “l'allodola” é dedicato all'Italia: Abruzzo, Gran Sasso, monti della Laga le mete per ricerche ornitologiche e non solo. Poi un salto sul delta del Po, informazioni sul tipico formaggio della zona di Mantova derivato dalla lavorazione del latte di mucca di cui solo il 30% libere di pascolare con dieta integrata da cereali e soia. La pianura Padana con circa 40 allevamenti biologici di vacche da latte, solo la metà di questi permette il pascolo all'aperto. Purtroppo i prati sono stati destinati alle coltivazioni intensive, come i cereali, usando pesticidi e fertilizzanti chimici, e solitamente sono gestiti in modo da essere tagliati spesso, non permettendo la cova degli uccelli e delle allodole. Quelle poche che prolificano sono situate vivono al delta del Po, il cui inquinamento è dovuto sostanzialmente all'agricoltura e alla zootecnica, con lagune diventate proprio dead zone. Ritornato in Abruzzo Philip commenta: “Giù nella valle in pianura, avevo visto una terra senza animali. Qui potevo vedere e sentire qualcosa di profondamente diverso, un assaggio di come potrebbe davvero essere la campagna, se solo glielo permettessimo”!
Philip Lymbery aveva già trattato questo argomento con i rischi sull'ambiente e alla nostra stessa salute nel libro “Farmageddon” selezionato dal Times tra i migliori libri del 2014. E' direttore generale del Compassion in World Farming (Ciwf), una ong che si occupa della protezione e del benessere degli animali di allevamento. E' stato importante il suo ruolo, nell'approvazione di alcune direttive europee, sul divieto delle gabbie per le galline ovaiole ed i recinti individuali per i vitelli. Nel 2015 ha ricevuto il premio “Colomba d'oro internazionale per la Pace” dell'Archivio Disarmo, per la sua insistenza per comportamenti consapevoli responsabili nei confronti del pianeta e di tutti gli esseri viventi.

Philip Lymbery “Dead Zone” “come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali” Nutrimenti ed. Roma 2017, 19 €

domenica 11 agosto 2019

14.a Giornata per la custodia del creato. Coltivare la Biodiversità.

14.a Giornata per la custodia del creato. Coltivare la Biodiversità.


Nella 14.a giornata per la custodia del creato, promossa per il settembre 2019, i vescovi della CEI presentano l'intero sussidio che la Chiesa italiana promuove, per “conoscere e comprendere quella realtà fragile e preziosa della biodiversità”.
Davvero questa volta occorre stupirsi e meravigliarsi esclamando: “Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature” (Sal. 104, 24).
L'invito alla chiamata del lasciarci coinvolgere in tale sguardo, “per contemplare anche noi, le creature della terra ed in particolare il mondo della vita, così vario e rigoglioso”. Occorre riflettere che per i nostri comportamenti egoistici e superficiali, “per causa nostra migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza, né potranno comunicarci il loro messaggio. “In una creazione in cui tutto è connesso, infatti, ogni creatura – ogni essere ed ogni specie vivente – dispiega il suo grande valore anche nei legami alle altre.”
Il richiamo dei Vescovi va alla Laudato Sì di papa Francesco, che ci ricorda che “siamo chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre, perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace bellezza e pienezza e della biodiversità che la abita”, suggerendo pratiche di coltivazione della terra rispettose dell'equilibrio e degli abitanti che vi gravitano, con loro usi e costumi. Oltre ad evitare tutte quelle pratiche agricole tecnologiche, che non rispettano la biodiversità, ci invitano a contrastare l'evidente cambiamento climatico ed a valorizzare in Italia, aree di benessere, aspetti agricoli particolari e settori ecoturistici. Ma per fare questo occorre conoscere il patrimonio dei nostri territori, riconoscerne il valore, promuoverne la custodia. Concludono con l'auspicio che “Solo un’umanità così rinnovata sarà all’altezza della sfida posta dalla crisi socio-ambientale: che lo Spirito creatore guidi ogni uomo ed ogni donna ad una autentica conversione ecologica”.
La giornata del creato va ad anticipare il Sinodo per l'Amazzonia, che si svolgerà subito dopo settembre. Per questo gli approfondimenti sono lasciati a tre ricercatori.
Davide Pettenella professore di forestazione all'Università di Padova, presenta l'Italia con la sua estrema variabilità di specie viventi, classificata tra i 33 maggiori detentori di biodiversità: rispetto alla stessa Europa vi si contano il 30% di specie animali, il 50% di quelle vegetali su una superficie di 1/30 del continente. 58.000 specie di fauna stimata, 1169 di flora che con i licheni arriva a 2704. Ma questa ricchezza di biodiversità è minacciata dalla urbanizzazione e distruzione del suolo, dalla loro frammentazione e degrado, dall'invasione di specie non autoctone, incendi, attività agricole, bracconaggio, cambiamenti climatici. 4 le funzioni riconosciute nella tutela della biodiversità: funzione ecologica, più gli ecosistemi sono diversi e meglio sopportano i cambiamenti; funzione economica consentita dall'ampia fornitura di servizi possibili; funzione sociale e culturale data dalla conoscenza e attenzione verso ciò che ci circonda; funzione etica nel salvaguardare i valori qui espressi.
Giorgio Osti della facoltà di sociologia e ambiente dell'Università di Trieste, indica quali sono le esperienze di tutela e promozione della biodiversità. Sostiene che “la biodiversità è anche un bene comune di cui tutti gli esseri viventi hanno diritto di godere”. L'esperienza storica più evidente, a favore della biodiversità, è stata l'istituzione di parchi che risale fin al termine del XIX secolo. Occorre valutare queste iniziative di tutela e promozione, nella giusta ottica, quale coevoluzione sia del genere umano che delle stesse specie conservate. In Italia il governo statale dal 1922 e quelli regionali dagli anni '80, hanno promosso l'istituzione di parchi e aree naturalistiche; tra le associazioni spicca il WWF, più attiva in questo campo, con la realizzazione anche di laboratori didattici educativi, dal grande valore simbolico. Certamente i problemi non mancano: un esempio è il parco d'Abruzzo dove è nota la fatica della convivenza e dell'alternarsi di fasi di integrazione e conflitto, tra lupo, cinghiale, orso e uomo.
Francesco Paloschi, laureato in scienze naturali e giornalista, presenta l'educazione alla biodiversità. “Educare i giovani, e non solo loro, alla biodiversità significa far cogliere la bellezza e la verità... tramite il gusto della conoscenza naturalistica e il contatto fisico con gli elementi del paesaggio. Significa far leva sull’emozione della mente e del corpo per smuovere le coscienze e stimolare una condotta ecologica”. Riconoscere una pianta, un fiore, un uccello o un insetto, sono abitudini che un bambino può acquisire meglio di un adulto. Osservare il comportamento di un animaletto, far crescere una pianta nel giardino o nel balcone, seguendola nel tempo del suo sviluppo, contribuire con piccoli gesti a tenere pulito un parco pubblico, o semplicemente compiere una gita all’aria aperta in compagnia di adulti capaci di meravigliarsi, sono vie possibili, per una sollecitazione ecologica che contrasti i lati negativi dello sviluppo e l'invasione del cemento.
Collaborare con associazioni ed esperti ambientali che agiscono sul territorio locale, per sperimentare esperienze di volontariato in difesa dell'ambiente, aderire a campagne di sensibilizzazione e ad attività di recupero e protezione ambientale, assumere insieme scelte e comportamenti attenti all'ecologico e all'utilizzo sano e sostenibile delle risorse. Proprio lo spirito di avventura e d’impresa comunitaria che si respira nei gruppi giovanili quando animati da sfide significative, può incoraggiare la crescita di cittadini consapevoli attenti alla custodia della casa comune. Imparare a pensare alla casa comune, a un “noi” prima che a un “io”, può portare beneficio tanto al pianeta, quanto alle nostre comunità di crescita. 


Per chi desidera accedere ai documenti originali:
https://lavoro.chiesacattolica.it/14a-giornata-nazionale-per-la-custodia-del-creato/
L'iniziativa non termina con la prima domenica del mese, ma può proseguire per tutto settembre!




martedì 19 marzo 2019

Diffida ad ASUR Marche ed ARPAM

Diffida ad ASUR Marche ed ARPAM

Il Coordinamento PESTICIDI STOP Marche, al fine di poter verificare la presenza dei fitofarmaci sull'acqua potabile ne ha chiesto la pubblicazione delle analisi.
Il direttore generale a novembre 2017 ed a febbraio 2018, ha rassicurato la pubblicazione in tempi brevi; lo stesso direttore del SIAN Area Vasta 1, cui mi sono rivolto a novembre scorso, per le analisi della mia cittadina, rassicura che presumibilmente saranno pubblicate a partire da 2019 nel portale VeSA Marche.
 
Nel frattempo la UE ha attivato la modifica dei parametri dell'acqua del rubinetto, a fine ottobre 2018, affermando nei suoi atti preparatori, che la mancanza di fiducia nell'acqua potabile è anche dovuta alla carente trasparenza dei dati delle analisi.

Tutto ciò ha spinto il coordinamento a diffidare gli organismi regionali coinvolti nelle loro richieste.
E' ormai dal 2005 che è attivo il decreto legislativo sulle informazioni ambientali il quale prevede la pubblicazione di “qualsiasi informazione ambientale disponibile...relativa allo stato degli elementi” fra cui l'acqua. Inoltre e' da tempo che si accede alle analisi di diversi comuni a richiesta, che puntualmente vengono date. L'attuale norma sulla trasparenza del 2013, sull'accesso civico, prevede che i documenti dati, siano poi pubblicati. Due norme quindi che da tempo, non vengono rispettate dalle due aziende regionali.
E' pur vero che molti prodotti alimentari, riportano una serie di ingredienti che in massima parte il consumatore non legge, si pensi ai dadi da brodo, alla maionese, alle bibite, alle confetture. Eppure quei dati sono un riferimento per il consumatore attento, che può così scegliere un prodotto rispetto ad un altro in base appunto ai suoi ingredienti. Così deve essere anche per l'acqua.
Sono coordinatore delle guardie volontarie del WWF nella regione Marche e nel nostro regolamento sono contenuti non solo gli obblighi di vigilanza ambientale, sul territorio, ma anche di servizio e aiuto per soci e cittadini. Ecco perché, in qualità di pubblico ufficiale, spesso l'accesso agli atti e documenti, mi vedono coinvolto.
Gli amici del gruppo, mi hanno contattato per poter attivare l'accesso presso diversi dirigenti degli enti indicati. Ci sono stati anche quelli che hanno risposto negativamente, forse perché poco conoscitori delle normative. L'essere insieme, in rete, rafforza il nostro potere di richiesta ed inoltre ci fa essere più uniti e più forti, in caso di problemi.
Nella giornata sulla trasparenza, che tutti gli enti pubblici dovrebbero attivare compresi i nostri comuni, a Fano organizzata dalla Asur, ho detto pubblicamente che attraverso gli spazi web delle Asur, appaiono scarsità di informazione e difficoltà ad accedere e concedere dati. Solo da poco sono apparsi nei siti i dati, a mio avviso ancora incompleti, sulle liste di attesa diagnostiche. Nella sezione trasparenza, su informazioni ambientali vi è scritto “Questa voce non è applicata alla nostra amministrazione” andate a vedere il sito degli ospedali riuniti di Marche Nord o dell'ARS per conferma; eppure tra le informazioni ambientali rientrano quelle sullo stato della salute e della sicurezza umana che sono tipiche delle Asur.
Non sempre si riesce ad ottenere quello che si richiede. Le amministrazioni sono piuttosto diffidenti a dare i documenti da loro “detenuti”. Con il consigliere 5 stelle di Gradara, sono stati richiesti i dati del registro dei tumori della nostra provincia. L'ARS ha risposto che non poteva concedere perché contenente dati sensibili; successivamente è stato fatto notare che i file devono essere editabili ed in formato aperto. Alla fine sono stati inviati solo parte dei documenti richiesti, ma poi, non sono stati pubblicati, nel sito come prevede la norma.
La regione è trasparentissima, rispondeva il il presidente Ceriscioli nella giornata dell'AATO1, ad ottobre scorso. Eppure il cittadino richiedente è ancora visto come una scocciatura ed i dirigenti fanno fatica a dialogare con lui, per capire e arrivare alla richiesta dei dati che reclama, perché si può anche non essere precisi nella richiesta; è la normativa a dirlo. Comunque a seguito di mie istanze, il comune di Urbino, ha pubblicato i dati delle analisi dell'acqua cittadina.
Quella con gli enti pubblici è ormai una battaglia avviata e direi vinta. Il problema si evidenzierà con i gestori privati di pubblici servizi, che per questi settori devono essere trasparenti alla pari delle amministrazioni.

Giuseppe Dini
Coordinatore Guardie Giurate WWF Marche.

mercoledì 27 febbraio 2019

Scuola di qualità

Scuola di qualità

Da oltre un anno dalla mio pensionamento dalla scuola, quale insegnante di Educazione Tecnica nelle medie di primo grado, provo a riprendere un discorso in merito, all'andamento formativo e di coinvolgimento degli insegnanti nella scuola, da parte dei dirigenti.
Leggo che quella scuola fa quel tipo di didattica, quell'altra ha quel progetto inclusivo, l'altra ancora promuove la didattica delle competenze.
Mi chiedo in tutto questo gli insegnanti da che parte stanno? Oggi con i dirigenti sempre più decisionisti, comandanti di una nave educativa, dove sembrerebbe utile valutare tutti nella stessa maniera, fare tutti quel tipo di prove strutturali, la cui valutazione deve essere non meno di…, altrimenti crolla il castello preparato dal dirigente. La legge 107, ha rafforzato i poteri dei nostri superiori, che hanno la possibilità di infliggere una sospensione fino a 10 giorni. Dopo, se mai, si può discutere, con i ricorsi al giudice del lavoro, se appropriata o meno.
E' pur vero che nella scuola c'è chi ne approfitta, come in tutti i luoghi di lavoro, ma non è sempre così evidente: 30% di insegnanti attivi, 50% i coinvolgibili, 20 % di interessati ad altro, percentuali discusse con i vari sindacati intercorsi nei nostri incontri professionali.
Tutti i dirigenti, fra l'altro hanno ormai la reggenza obbligata su più scuole, che vale la pena chiedersi se l'andamento didattico, educante e professionale, la facciano loro o i docenti delegati e coinvolti nelle varie mansioni.
Poi ci sono anche quelli che apertamente sostengono “Se non vi sta bene andatevene, chiedete il trasferimento” e se nella loro valutazione fosse inserito questo parametro, forse qualcuno non passerebbe la sufficienza. Fra l'altro con l'introduzione a dirigente, un aspetto di recessione dalla loro nomina, è proprio il contenzioso: in base alla conflittualità possono essere rimandati al ruolo di appartenenza.
Per confrontarci con i superiori, occorre essere formati professionalmente, conoscere le leggi del proprio lavoro per sostenere non solo, le ripercussioni del capo, ma anche la pressione degli stessi docenti che con lui si schierano. Ho conosciuto tanti colleghi ottimi educatori, ma la cui preparazione di lavoratore è purtroppo stentata. Nel mio discorso di pensionamento  l'augurio rivolto ai colleghi, è stato proprio quello di crescere nella conoscenza delle normative che regolano il nostro rapporto di lavoro.
Un aspetto che ho sempre sostenuto, molto di più negli ultimi anni è stato l'art. 33 della Costituzione Italiana: “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”. Non è certo per togliersi le responsabilità di una professione che serve a promuovere l'allievo ragazzo attraverso una crescita graduale, fatta anche di conoscenza, ma per essere quell'educatore che adatta la trasmissione del sapere e dello sviluppo intellettivo, alle diverse classi e ai diversi allievi.
L'art. 25 del D. L.vo 165/2001 dedicato proprio ai dirigenti scolatici sostiene: “Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico, organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali…Il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da parte degli alunni.”
Spetta al collegio docenti la possibilità di deliberare in fatto di didattica, non al preside imporre la didattica, quello o quell'altro progetto, ma “esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente” sostiene il Testo Unico del 1997 all'art.7. Quindi nel stabilire orari, quadrimestri, recuperi le decisioni collegiali sono vincolanti, ma nessuna maggioranza può obbligare a fare verifiche comuni, adottare moduli prestabiliti, stesse griglie.
Libertà sì, applicando però le indicazioni del ministero al percorso educativo, del diritto allo studio dei propri allievi, del percorso di apprendimento e di sviluppo personale. Infatti “l’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere la piena formazione della personalità degli alunni” sostiene l'art. 2 del TU 1997.
Il regolamento dell'autonomia scolastica del 1999, inoltre prevede la pluralità del collegio docenti: garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale” (art.1); mentre il regolamento al piano dell'offerta formativa della scuola, POF, ne considera tutte le componenti anche di minoranza: “comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità”.
Non per niente si chiama “corpo docente” dove ognuno ha la sua importanza e funzione, tutti insieme agiscono come un corpo, impegnati per la crescita umana educativa dei ragazzi.
Nella scuola media ed. musicale, ed. fisica, ed. tecnica, ed. artistica, francese, religione hanno tante classi, da rendere difficile per gli insegnanti qualsiasi proposta burocratica didattica, a meno che ridotta ad un copia/incolla. Anche il calendario scolastico delle attività non di insegnamento, proposto dal dirigente, ma approvato dal collegio, dovrebbe considerare gli impegni di queste discipline. Sostenevo esacerbandone l'aspetto, che solo restando seduto alle riunioni avrei tranquillamente superato le 40 ore assegnate e lì, nelle ore di non insegnamento, ci andrebbero le ore obbligatorie sulla sicurezza e le ore di aggiornamento. Quanti dirigenti sono chiari su questo? Quanti dirigenti sono pronti a riconoscere le ore fatte in più ? Quanti dirigenti pronti sì a chiedere l'esonero delle responsabilità, al docente per le gite, sono attenti a valutarne il giusto impegno?
Un'arma a dire il vero gli insegnanti ce l'hanno: limitarsi a fare solo lo stretto obbligatorio e negare tutto il di più. Anche per questo occorre però essere informati della propria professione, non trascurando la necessità di approfondimento culturale ed educativo, per intervenire con la giusta autonomia, consapevolmente convinti delle proprie scelte, con l'obbiettivo della crescita educativa dei propri allievi, futuri adulti , in una scuola davvero di qualità.