lunedì 21 ottobre 2019

DEAD ZONE “Come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali”

DEAD ZONE “Come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali”

Il libro è organizzato come una sorta di percorso avventuroso, in varie parti del pianeta. Ogni percorso ha però la sua giustificazione scientifica, di indagine ambientale-faunistica, di ricerca del rapporto che esiste tra le specie animali selvatiche, l'ambiente dove vivono, la loro sopravvivenza e gli allevamenti intensivi. Non per niente ogni capitolo riporta il nome di un animale e attraverso la sua ricerca, l'autore trova le giustificazioni, per allargare il campo alle modificazioni ambientali imposte dall'uomo, con l'unico scopo del profitto a tutti i costi.
Nel leggerlo, mi è parso quasi una sorta di percorso romanzato, ma così ricco di note e di riferimenti a documenti da farmi cambiare idea: una ampia analisi che dimostra come il sistema attuale, di garantire carne a basso costo nei nostri supermercati, stia fortemente danneggiando non solo interi ecosistemi della terra, assieme ai cambiamenti climatici e la distruzione di interi habitat, col risultato di essere una delle cause di estinzione di molte specie animali.
Il primo capitolo intitolato “l'elefante” parla appunto di questi animali possenti usati nell'isola di Sumatra nelle coltivazioni della palma da olio. Dalla polpa rossastra, si ricava l'olio di palma, mentre dal nocciolo commestibile, si ottiene olio e farina di palmisto. Sempre più questi prodotti vengono utilizzati in Europa, Cina, Nuova Zelanda, come mangime industriale per animali allevati, con le conseguenze sull'habitat indonesiano, ormai ben chiare a tutti.
Nel capitolo “il bisonte” in Nebraska incontra distese di mais ogm, destinato a “nutrire il mondo”: il 40% agli animali ed il 40% trasformato in etanolo per fornire, mescolato alla benzina, il carburante delle auto. Eppure se tutti gli animali nutriti con cereali fossero riportati nei pascoli ed i cereali fossero destinati agli uomini, si potrebbero alimentare altri 3 miliardi di persone.
Nel capitolo “il gambero” c'è il cuore del titolo del libro “Dead Zone”, zona morta appunto; un viaggio nel New Orleans alla ricerca dell'autore di questo delitto. Una immersione su una zona del Golfo del Messico chiarisce, perché i gamberi incominciano a sparire ed i pescatori sono costretti sempre più ad allontanarsi dalla costa per la cattura dei crostacei. I fertilizzanti usati per le coltivazioni di mais, dilavati dalle sempre più frequenti piogge rilasciate dagli uragani, su terreni che perdono sempre più il loro humus, vanno a finire nel mare creando queste zone di morte prive di qualsiasi forma di vita.
Con “il pinguino” siamo in Sudafrica. La popolazione di questo caratteristico uccello, già messa in crisi dallo sfruttamento del loro guano nel passato, oggi rischia ancor di più, dalla pesca di piccoli pesci oceanici di cui si nutrono. La cattura di queste specie ittiche, ritenute minori o “spazzatura, destinate esclusivamente alla trasformazione in farina per l'alimentazione zootecnica, sta esaurendo questa risorsa. I pinguini sudafricani non sono la sola popolazione colpita dall'industria ittica destinata all'alimentazione: le popolazioni del Perù, delle Galapagos con i più piccoli pinguini al mondo, soffrono lo sfruttamento ittico.
L'ultimo capitolo “l'allodola” é dedicato all'Italia: Abruzzo, Gran Sasso, monti della Laga le mete per ricerche ornitologiche e non solo. Poi un salto sul delta del Po, informazioni sul tipico formaggio della zona di Mantova derivato dalla lavorazione del latte di mucca di cui solo il 30% libere di pascolare con dieta integrata da cereali e soia. La pianura Padana con circa 40 allevamenti biologici di vacche da latte, solo la metà di questi permette il pascolo all'aperto. Purtroppo i prati sono stati destinati alle coltivazioni intensive, come i cereali, usando pesticidi e fertilizzanti chimici, e solitamente sono gestiti in modo da essere tagliati spesso, non permettendo la cova degli uccelli e delle allodole. Quelle poche che prolificano sono situate vivono al delta del Po, il cui inquinamento è dovuto sostanzialmente all'agricoltura e alla zootecnica, con lagune diventate proprio dead zone. Ritornato in Abruzzo Philip commenta: “Giù nella valle in pianura, avevo visto una terra senza animali. Qui potevo vedere e sentire qualcosa di profondamente diverso, un assaggio di come potrebbe davvero essere la campagna, se solo glielo permettessimo”!
Philip Lymbery aveva già trattato questo argomento con i rischi sull'ambiente e alla nostra stessa salute nel libro “Farmageddon” selezionato dal Times tra i migliori libri del 2014. E' direttore generale del Compassion in World Farming (Ciwf), una ong che si occupa della protezione e del benessere degli animali di allevamento. E' stato importante il suo ruolo, nell'approvazione di alcune direttive europee, sul divieto delle gabbie per le galline ovaiole ed i recinti individuali per i vitelli. Nel 2015 ha ricevuto il premio “Colomba d'oro internazionale per la Pace” dell'Archivio Disarmo, per la sua insistenza per comportamenti consapevoli responsabili nei confronti del pianeta e di tutti gli esseri viventi.

Philip Lymbery “Dead Zone” “come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali” Nutrimenti ed. Roma 2017, 19 €

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