DEAD ZONE “Come gli allevamenti intensivi mettono a rischio la
nostra salute e la sopravvivenza di molte specie di animali”
Il libro è organizzato come una sorta di percorso avventuroso, in
varie parti del pianeta. Ogni percorso ha però la sua
giustificazione scientifica, di indagine ambientale-faunistica, di
ricerca del rapporto che esiste tra le specie animali selvatiche,
l'ambiente dove vivono, la loro sopravvivenza e gli allevamenti
intensivi. Non per niente ogni capitolo riporta il nome di un animale
e attraverso la sua ricerca, l'autore trova le giustificazioni, per
allargare il campo alle modificazioni ambientali imposte dall'uomo,
con l'unico scopo del profitto a tutti i costi.
Nel leggerlo, mi è parso quasi una sorta di percorso romanzato, ma
così ricco di note e di riferimenti a documenti da farmi cambiare
idea: una ampia analisi che dimostra come il sistema attuale, di
garantire carne a basso costo nei nostri supermercati, stia
fortemente danneggiando non solo interi ecosistemi della terra,
assieme ai cambiamenti climatici e la distruzione di interi habitat,
col risultato di essere una delle cause di estinzione di molte specie
animali.
Il primo capitolo intitolato “l'elefante” parla appunto di questi
animali possenti usati nell'isola di Sumatra nelle coltivazioni della
palma da olio. Dalla polpa rossastra, si ricava l'olio di palma,
mentre dal nocciolo commestibile, si ottiene olio e farina di
palmisto. Sempre più questi prodotti vengono utilizzati in Europa,
Cina, Nuova Zelanda, come mangime industriale per animali allevati,
con le conseguenze sull'habitat indonesiano, ormai ben chiare a
tutti.
Nel capitolo “il bisonte” in Nebraska incontra distese di mais
ogm, destinato a “nutrire il mondo”: il 40% agli animali ed il
40% trasformato in etanolo per fornire, mescolato alla benzina, il
carburante delle auto. Eppure se tutti gli animali nutriti con
cereali fossero riportati nei pascoli ed i cereali fossero destinati
agli uomini, si potrebbero alimentare altri 3 miliardi di persone.
Nel capitolo “il gambero” c'è il cuore del titolo del libro
“Dead Zone”, zona morta appunto; un viaggio nel New Orleans alla
ricerca dell'autore di questo delitto. Una immersione su una zona del
Golfo del Messico chiarisce, perché i gamberi incominciano a sparire
ed i pescatori sono costretti sempre più ad allontanarsi dalla costa
per la cattura dei crostacei. I fertilizzanti usati per le
coltivazioni di mais, dilavati dalle sempre più frequenti piogge
rilasciate dagli uragani, su terreni che perdono sempre più il loro
humus, vanno a finire nel mare creando queste zone di morte prive di
qualsiasi forma di vita.
Con “il pinguino” siamo in Sudafrica. La popolazione di questo
caratteristico uccello, già messa in crisi dallo sfruttamento del
loro guano nel passato, oggi rischia ancor di più, dalla pesca di
piccoli pesci oceanici di cui si nutrono. La cattura di queste specie
ittiche, ritenute minori o “spazzatura, destinate esclusivamente
alla trasformazione in farina per l'alimentazione zootecnica, sta
esaurendo questa risorsa. I pinguini sudafricani non sono la sola
popolazione colpita dall'industria ittica destinata
all'alimentazione: le popolazioni del Perù, delle Galapagos con i
più piccoli pinguini al mondo, soffrono lo sfruttamento ittico.
L'ultimo capitolo “l'allodola” é dedicato all'Italia: Abruzzo,
Gran Sasso, monti della Laga le mete per ricerche ornitologiche e non
solo. Poi un salto sul delta del Po, informazioni sul tipico
formaggio della zona di Mantova derivato dalla lavorazione del latte
di mucca di cui solo il 30% libere di pascolare con dieta integrata
da cereali e soia. La pianura Padana con circa 40 allevamenti
biologici di vacche da latte, solo la metà di questi permette il
pascolo all'aperto. Purtroppo i prati sono stati destinati alle
coltivazioni intensive, come i cereali, usando pesticidi e
fertilizzanti chimici, e solitamente sono gestiti in modo da essere
tagliati spesso, non permettendo la cova degli uccelli e delle
allodole. Quelle poche che prolificano sono situate vivono al delta
del Po, il cui inquinamento è dovuto sostanzialmente all'agricoltura
e alla zootecnica, con lagune diventate proprio dead zone. Ritornato
in Abruzzo Philip commenta: “Giù nella valle in pianura, avevo
visto una terra senza animali. Qui potevo vedere e sentire qualcosa
di profondamente diverso, un assaggio di come potrebbe davvero essere
la campagna, se solo glielo permettessimo”!
Philip Lymbery aveva già trattato questo argomento con i rischi
sull'ambiente e alla nostra stessa salute nel libro “Farmageddon”
selezionato dal Times tra i migliori libri del 2014. E' direttore
generale del Compassion in World Farming (Ciwf), una ong che si
occupa della protezione e del benessere degli animali di allevamento.
E' stato importante il suo ruolo, nell'approvazione di alcune
direttive europee, sul divieto delle gabbie per le galline ovaiole ed
i recinti individuali per i vitelli. Nel 2015 ha ricevuto il premio
“Colomba d'oro internazionale per la Pace” dell'Archivio
Disarmo, per la sua insistenza per comportamenti consapevoli
responsabili nei confronti del pianeta e di tutti gli esseri viventi.
Philip Lymbery “Dead Zone” “come gli allevamenti intensivi
mettono a rischio la nostra salute e la sopravvivenza di molte specie
di animali” Nutrimenti ed. Roma 2017, 19 €
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